La Legge Fallimentare prevede la possibilita' per le aziende in crisi in possesso di elementi patrimoniali su cui fare affidamento di accedere a procedure volte a ricostituire l'equilibrio economico-finanziario dell’impresa ed evitare una procedura fallimentare.

A seconda della gravità della situazione di crisi aziendale una società “in crisi” puo' avviare un piano di risanamento industriale ex articolo 67, comma 3, lettera d) della Legge Fallimentare o un accordo di ristrutturazione ex articolo 182-bis della Legge Fallimentare.

La prassi insegna che la scelta di optare per un piano di risanamento presuppone che lo stato di crisi aziendale possa essere risolto in un orizzonte temporale limitato (solitamente 3-5 anni) mediante l’alleggerimento del proprio indebitamento finanziario comprendendo, eventualmente, la dismissione di asset non strategici per la “continuità dell’attività aziendale”.

La legge stabilisce che il piano di risanamento sia “idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria”, sulla base di un parere di un professionista indipendente abilitato che attesti “la veridicita' dei dati aziendali e la fattibilita' del piano”.

In caso di un eventuale successivo fallimento dell’azienda gli atti e i pagamenti compiuti in esecuzione del piano di risanamento non sono soggetti a revocatoria fallimentare.

Nel caso in cui la situazione di crisi aziendale sia più grave rispetto all’ipotesi sopra descritta e' possibile optare per un accordo di ristrutturazione dei debiti, eventualmente comprendendo anche la transazione fiscale per debiti erariali e contributivi; in tal caso e' necessario un intervento più strutturale sull’indebitamento finanziario della società prendendo in considerazione un arco temporale più ampio e l’adozione di misure volte ad una significativa dismissione di asset aziendali.

A tale riguardo, la normativa prevede una serie di requisiti ed una specifica procedura a cui l’imprenditore ed i creditori che intendono sottoscrivere l’accordo sono tenuti a conformarsi.

In tale fattispecie, a differenza dell’ipotesi del piano di risanamento e' obbligatoria la sottoscrizione di un accordo tra la società in crisi e un ceto creditorio (c.d. creditori aderenti) che rappresenti almeno il 60% dell’esposizione debitoria complessiva della stessa. In piu' tale accordo, una volta sottoscritto, dovrà essere depositato dalla società presso il Tribunale oltre ad altri documenti, tra cui, una relazione redatta da un professionista abilitato che attesti la veridicita' dei dati aziendali e l’attuabilita' dell’accordo con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori “estranei” all’accordo.

Poi l’accordo dovra' essere pubblicato nel Registro delle Imprese competente; da tale momento, i creditori non potranno iniziare ne' proseguire azioni  cautelari o esecutive contro il patrimonio della società per 60 giorni ed i creditori estranei all’accordo entro 30 giorni potranno presentare eventuali opposizioni.

Successivamente, il Tribunale pronuncia decreto motivato con cui procederà all’omologazione dell’accordo, oppure al suo rigetto. A decorrere dalla data di emissione del decreto di omologa, l’accordo svulupperà i proprie effetti non solo tra le parti ma anche in relazione alle cautele e coperture previste dalla normativa applicabile.

Anche a seguito di un accordo di ristrutturazione debitamente omologato, in caso di fallimento dell’azienda, gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo non saranno soggetti a revocatoria fallimentare.

In aggiunta se l’imprenditore dovesse contrarre ulteriore indebitamento da nuova finanza (anche se proveniente dai soci) nell’ambito di un processo di ristrutturazione, i relativi crediti saranno prededucibili in sede di liquidazione dell’attivo della società.

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